Ho trovato una città di mattoni, ve la restituisco di marmo (Epistole)
L’arte come dimensione del fare, come aderenza al reale, come mondo interiore, scevro da filtri e condizionamenti, che trascorre con continuità nelle opere. È di questi pensieri e sensazioni forti che si nutrono le sculture di Jago, pseudonimo di Jacopo Cardillo. Habemus Hominem (2016), calibrata sulla figura di Joseph Ratzinger, scava nel marmo, per sollevare con eleganza i sigilli di una vicenda molto discussa ma anche ignorata nella sua complicata vastità. Memoria di sé (2015) o Figlio Velato (2019) trasformano lo spazio etereo delle figure evocate in una sorta di messaggio cifrato tra ascensione e catarsi che gioca con il concetto di tempo. Ogni lavoro di Jago richiede un impegno emozionale e fisico all’osservatore, non solo per la sua capacità di convertire la materia in qualcosa di fortemente vivo, ma anche per il suo approccio serenamente in bilico tra l’eternità senza tempo e il tempo senza storia.
Jago, scultore, videomaker e musicista, nasce a Frosinone, dove ha studiato all’Accademia di Belle Arti. Ha esposto su scenari di prestigio in Europa e negli Stati Uniti. Nel 2011 ha partecipato alla Biennale di Venezia. Vive a New York, spostandosi tra USA, Cina e Italia dove tiene corsi in scuole, università e accademie.
di Francesca Londino